The Lonely House di Angela Vettese
Imporre un filtro colorato a un’immagine fotografica significa toglierle il suo preteso carattere oggettivo e sottolineare un punto di vista personale. Associare due immagini implica dei processi di pensiero soggettivi. L’atto stesso di guardare è sempre velato da stati d’animo, bagagli di conoscenze, circostanze fortuite che rendono differente la stessa cosa vista da due persone. Il punto di vista individuale si pone al centro del lavoro di Barbara Fässler, che si esplica nella mostra personale al Care/of sotto forma di due dittici fotografici e, in uno spazio idealmente separato, trentotto scatole visive nelle quali è possibile intravedere, avvicinando l’occhio al loro foro centrale, un’immagine proiettata da un visore per diapositive.
Il punto di vista individuale vi compare legato al tema dell’abitare, ovvero dell’essere di una certa persona in un qui e ora. Nei dittici e nelle trentotto diapositive vengono presentate le situazioni abitative più diverse, dalla capanna alla casa borghese, dall’interno di un traghetto agli edifici in lontananza di Rotterdam. In un ideale processo di zoomata dentro allo sguardo personale, le scene si addentrano progressivamente in una sfera sempre più privata e legata al quotidiano domestico.
Tutte le immagini sono tratte da un archivio di fotografie che l’artista ha scattato negli anni e che, in qualche caso, ha già utilizzato nel corso di performances con slide-show e recitazione di frasi staccate che raccontavano, in tre lingue diverse, memorie, azioni e desideri. Anche l’uso dei filtri si pone in continuità con il suo lavoro precedente: installazioni in cui ha utilizzato delle tende di plastica per dividere degli ambienti le cui porzioni erano collegate tra loro, ma visibili solo attraverso una deformazione dei dati luminosi imposti dalle tende medesime. La scelta delle immagini è del tutto empirica e dettata da associazioni a volte consapevoli e formali, a volte più legate alle contingenze. In ciascun caso l’attenzione si concentra su dei particolari dello spazio e dei frammenti
di tempo, senza collegamenti espliciti tra loro.
In questo modo Barbara Fässler sottolinea la soggettività della visione senza cadere nella narrazione autobiografica né nella tentazione dell’immagine sensazionale: ciò che ci viene trasmesso è uno stato di consuetudine, in cui il soggetto perde ogni connotazione romantica e acquisisce invece, anche nella descrizione dei temi più legati all’affettività, la stessa durezza che riconosciamo nel vissuto del presente rispetto a quello dei ricordi; ma proprio grazie a questo stato di normalità e di presenza in una comunità, il soggetto si mostra in tutta la sua irriducibile separazione dagli altri.
2 aprile 2000
Angela Vettese