L’illustre pensiero
Una mattina, durante il mio consueto caffé ristretto, ma molto lungo con Beppe Giacobbe, parlai con lui del disegno di Saul Steinberg, in cui un signore, davanti a un esercito variopinto di punti interrogativi, appare alquanto allibito. Beppe esclamò spontaneamente: “ma certo, Steinberg è un filosofo!”. La sua reazione, naturalmente, non si può ricondurre solo al fatto che il disegno allude in modo evidente al dubbio universale di Cartesio, ossia all’inevitabile condizione umana, destinata a un continuo e serrato confronto con domande esistenziali e metafisiche.
Un’umanità che, secondo il filosofo, deve sospendere ogni giudizio per giungere a una conoscenza certa. Beppe, piuttosto, solleva la questione sul genere stesso dell’illustrazione. Mi domandai, allora, se si possa sostenere che l’illustrazione abbia delle affinità con la grande filosofia, pur essendo così diversa, nella materia (disegno o pittura al posto delle parole), nel linguaggio (visivo invece che verbale), nel procedimento (pratico invece che teoretico) e perfino nelle ambizioni (comunicative invece che scientifiche). Le illustrazioni più convincenti sono indubbiamente quelle che non si limitano a visualizzare degli oggetti del reale o delle tematiche date, ma quelle che riescono a elaborare un pensiero ben preciso. Pensiero che, a sua volta, è stato estratto sinteticamente da una prima fase analitica delle situazioni e dei meccanismi umani, sociali, politici oppure culturali e che si esprime di seguito tramite un paradigma, acquisendo così un valore universale. Non a caso, del resto, la ricca opera di Beppe contiene una serie di ritratti di filosofi.
Ma dall’illustrazione “intelligente” ci attendiamo un passo ulteriore: la capacità di tradurre con mezzi sensibili – ovvero con l’abilità del disegno, tramite le forme, le proporzioni (o sproporzioni), la composizione, i contrasti, la posizione e l’abbinamento dei colori, - l’essenza distillata dalla molteplicità del nostro “mondo della vita” empirico. Ci attendiamo che il disegno abbia un significato, un messaggio preciso, che esso ci parli, che ci faccia ridere del genere umano o sorridere di noi stessi, oppure che ci faccia piangere del nostro misero destino. Nell’illustrazione combaciano intuizione e intelletto, analisi e sintesi, commedia e tragedia, con l’abilità accademica dei grandi disegnatori, pittori e scultori.
Il repertorio concettuale di Beppe Giacobbe oltrepassa il pensiero puro, che funge d’armatura portante nella costruzione. La poetica delle illustrazioni è imbevuta di elementi surreali, di atmosfere oniriche, e di “oggetti trovati” nel nostro immaginario culturale o nelle nostre fantasie subconsce che creano, abbinati in maniera inaspettata, un senso nuovo. Con umore sottile e tenera ironia Giacobbe ci accompagna in un viaggio nelle profondità del nostro animo, individuale e nel contempo collettivo. Le sue tavole colorate fungono da specchio, che ci riflette la nostra condizione, e ci spinge ad abbandonarci ora a una melanconia abissale, ora a un sorriso liberatorio. Nei libri per i bambini, invece, Beppe sa cambiare registro e sviluppa una narrativa consequenziale, che ci conduce nel mondo ludico della fantasia. In questi universi, popolati da animali con atteggiamenti umani, o nel regno del “re del silenzio”, la linea del racconto è spesso spezzata da un evento quasi impercettibile nel sottofondo, che lacera il corso previsto delle cose. Come il “punctum”, che nelle riflessioni di Barthes sulla fotografia viene a distrarre lo sguardo quotidiano, lo “studium”, di una situazione presa dal reale - i topi o i cacciatori dei cani nascosti - ci avvertono che nella vita gli eventi non sempre seguono la linea retta dell’armonia.
Gli strumenti plastici di Beppe affondano nella nostra memoria pittorica, ispirandosi alla pittura italiana (metafisica) e a quella americana (pop e astrazione). Le sue forme non si delimitano mai con il tratto nero, tipico del disegno, ma tramite superfici monocrome, arricchite di materia cara alla pittura astratta degli anni Sessanta. L’utilizzo dei colori allude ugualmente a quell’epoca: quelli primari si abbinano ai neri e ai marroni. Le composizioni convincono per la loro estrema semplicità e ciò produce tra l’altro un effetto concreto: il minimalismo pittorico aumenta l’impatto del messaggio.
L’arte straordinaria di Giacobbe consiste nella sua capacità di tessere il pensiero, l’intuizione, la narrazione, il surrealismo, la pittura e il disegno in una stoffa unica e compatta, che ci parla come sanno fare i grandi miti delle nostre credenze, delle nostre sofferenze e delle nostre speranze.
Giugno 2007
Barbara Fässler