I binari di ArTransit
La finestra extralarge del TILO speciale come sempre incornicerà il paesaggio tra Italia e Svizzera; però, quel giorno lì, il viaggio sarà sul Performance-Train. Non è possibile fare prove. Sarà quel che sarà. Al primo colpo. Un’unica improvvisazione, una jam-session in corso d’opera…
ArTransit è uno dei vincitori del programma “Viavai – Contrabbando culturale Svizzera-Lombardia” che Pro Helvetia (Fondazione Svizzera per la Cultura) ha chiamato in vita per innescare uno scambio culturale, interdisciplinare e intergenerazionale tra Svizzera e Lombardia.
Il progetto a cura di Barbara Fässler e Domenico Lucchini prende l’incarico alla lettera e avvicina le Performing Arts - quindi le arti sceniche - alla Performance Art nelle arti visive, organizzando una serie di eventi in sei sedi immobili e due piattaforme mobili.
Le due discipline hanno forti affinità, anche se agiscono spesso in ambiti diversi: sono effimere, svaniscono subito dopo essersi consumate. Ciò che rimane è unicamente il racconto tramite la documentazione fotografica, il video o il linguaggio.
Le arti performative partecipano quindi al paradosso della fotografia: una volta svanite, rendono presente una cosa assente, mostrando ciò che non c’è più. Il sito artransit.ch muta così con l’avanzare del progetto, da programma a documentazione, mettendo online i lavori degli studenti del Master di fotografia di Brera a Milano e del CISA (Conservatorio Internazionale di Scienze Audiovisive) a Lugano.
ArTransit mette in scena una serie di 10 eventi tra settembre 2014 e aprile 2015, in un ventaglio multicolore di Performances, letture, danza, canto, teatro in otto istituzioni lombarde, ticinesi e svizzere tedesche. Il progetto coinvolge 6 curatori, 5 assistenti, 26 artisti, 6 drammaturghi e registi, 10 attori e danzatori e 2 scrittori.
Il perno di ArTransit sono due eventi performativi su delle piattaforme mobili, un treno sulla linea del Gottardo e un battello sul lago Maggiore che si muovono tra Italia e Svizzera, connettendo le due realtà.
Il 15 novembre 2014 parte alle 10.05 il Performance-Train dalla stazione Centrale di Milano e porta il suo pubblico d’arte a Zurigo, nel Toni Areal, la nuova sede della ZHdK, l’Università delle arti.
Nel treno si svolgeranno delle performance di artisti Italiani e svizzeri (Emilio Fantin, Julia Geröcs e Corina Zünd, Koch/Kriese, Compagnia Tiziana Arnaboldi) e delle letture di testi di Carlo Emilio Gadda e Enrico Filippini.
Nello spazio esterno – mentre il treno passa – dei gruppi non professionisti di teatro, sport o folclore produrranno degli spostamenti performativi, visivi e sonori, in collaborazione con gli studenti di pedagogia teatrale della ZHdK.
All’arrivo a Zurigo, si svolgeranno altre sei performance alla ZHdK, con Domenico Billari, Quynh Dong, Roberto Fassone, Hoferoppligerschweiker, Jacopo Miliani e Corina Zünd, prima di rimettersi in viaggio con il Tilo-speciale verso Milano Centrale, dove conterà lo stare insieme, lo scambio, il vissuto e il relax, in compagnia del catering in movimento.
Non c’è scambio culturale senza apertura e conoscenza dell’altro di sé. La conoscenza dell’altro necessita il movimento fisico e mentale.
Il treno e il battello in corsa innescano una riflessione scandita dal ritmo e dalle immagini che passano davanti agli occhi. Il paesaggio vola incorniciato nella finestra extralarge del TILO speciale.
Il viaggio sarà al contempo un’esperienza reale e ideale, un vissuto fisico e mentale, capace di fluidificare il pensiero. Il treno si presenta come una costellazione sperimentale complessa, nella quale si toccano svariate tematiche in spazi diversi, mentre i vagoni percorrono la linea del tempo.
I temi appena sfiorati non tendono verso una conclusione, bensì sono destinati a rimanere aperti e continuare il loro sviluppo. I vari livelli di azione e le attività di lettura, recitazione, interazione e discussione giocano insieme, per poi intrecciarsi e tessere una stoffa che continua al contempo a disfarsi.
Lo scambio culturale è visto sia come incontro, sia come messa in evidenza della diversità dall’altro, insomma come dialogo durante il quale emerge la difficoltà dell’intendersi, pur parlando la stessa lingua. Ma lo scambio culturale intende sottolineare ugualmente l’incontro tra città e campagna, piuttosto che tra tradizione e contemporaneità.
A bordo del veicolo che avanza sulle rotaie con artisti, scienziati, ballerini ed attori, appaiono innumerevoli questioni: che cosa è uno spettacolo? E che cosa è una rappresentazione? Dov’è la differenza tra messa in scena, tra il mondo del teatro e le nostre abitudini vissute giorno per giorno? Lo spettatore fa parte dell’evento o ne sta fuori? Come mettere insieme gli stimoli variegati, le voci, le urla, i canti, i sussurri e le parole del soliloquio? Come combinare le immagini sfumate che sfuggono a velocità alta, i rumori nel buio e gli attori che ti rivolgono la parola a tu per tu, scandendo le proprie sensazioni che si nascondono dietro un ruolo ufficiale e un’apparenza esteriore?
Il Performance-Train di ArTransit è un montaggio di scene che seguono il ritmo del treno, un collage di elementi coerenti e incoerenti, di avvicinamenti e contrasti. Dalle costellazioni dei vari interventi, i passeggeri a bordo potranno costruire le loro interpretazioni e raccontare le loro narrazioni, partendo dalla propria esperienza personale.
Per il momento il Performance-Train ha ancora qualcosa di fantasmagorico. Cosa succederà realmente su quel treno lo scopriremo quel giorno, in quelle ore, nelle quali ci troveremo tutti insieme in quello spazio allungato e in movimento, in una comunità volontaria e anche costretta, in un viaggio che segue una linea temporale e un itinerario definito, ma del quale non possiamo prevedere né l’effetto che farà su di noi, né le conclusioni che ne potremmo trarre.
Sarebbe bello se lo spazio chiuso e costretto, aiutasse a concentrarsi sulle singole proposte, facendole vivere a fondo, per poi collegarle tra di loro o paragonarle, per riconoscere somiglianze e differenze. Non è possibile fare delle prove. Sarà quel che sarà. Al primo colpo. Una gigantesca improvvisazione, una jam-session in corsa d’opera.
Koch/Kriese, due giovanissimi drammaturghi, reciteranno un testo del tipo “verme solitario”, che si ispira al castello di Franz Kafka, esprimendo una sensazione di stress dovuta all’eccesso.
Il loro lavoro mette in questione l’idea di linearità con parole ininterrotte che vanno avanti fino all’esaurimento e che narrano dei crampi interiori e del controllo esteriore dalla parte di un potere inafferrabile.
“Esiste ancora una forza in noi, che c’è. E soltanto aspetta, di eseguire il suo lavoro, finalmente. E se una volta uno urla davvero, provocando che gli altri partecipano, perché sotto, in strada ci sono migliaia di persone che sorridono con denti neri. Quando l’onda parte, tutto ciò che è statico e fermo evaporerà e ciò che prima ci frenava, si avvererà come storia. Come una storia, che si potrebbe anche raccontare diversamente. Molto, molto, molto diversamente. (…) Lascia perdere! – Lascia perdere! Smettila, di immaginare un altro mondo, non è pensabile. Guarda la natura. Guarda il bosco. Apri gli occhi per la realtà. C’è sempre ingiustizia. C’è sempre gerarchia. Ci sono sempre strutture. (…) Il nuovo crescerà dal vecchio e assomiglierà al vecchio tanto da confondersi. Quando si guarda attraverso la superficie che scorre. Il nocciolo in riposo partorirà nuovi rami.”
Julia Geröcs e Corina Zünd attraverseranno i vagoni di seconda classe – controllando effettivamente i titoli di viaggio – e incorporeranno due aspetti di un singolo controllore, nella sua veste ufficiale che rappresenta lo Stato, la Legge, l’ufficialità e, dall’altra parte il suo alter-ego, la voce interiore, il soliloquio, anche qui, il discorso senza fine di una sofferenza interiore che contrasta il ruolo e la veste impeccabile dell’ufficiale.
“Sono queste le finezze che contano, un sorriso, dare ai passeggeri la sensazione che sono il benvenuto. Questo è l’atteggiamento di base, l’umore con il quale entro nel vagone. Ho sempre pensato, che vorrei salutare le persone come la mia famiglia. Mi sono sempre detto, questo è mio padre, mia madre, mia moglie, così ho trattato le persone. (…) La maggior parte dei passeggeri sono migranti che negli anni ‘50 sono immigrati dall’Italia in Svizzera. (…) Tutta la loro vita è pendolare tra la vecchia e la nuova patria, si trovano permanentemente in uno stato galleggiante, come nel treno, con la sensazione di essere sempre partiti e mai arrivati.”
I due danzatori della compagnia Arnaboldi, invece, mostreranno le modalità dello “stare seduti” e come uno sgabello può cambiare di colpo la sua funzione e il suo significato a seconda di come il nostro corpo entra in contatto con esso.
In prima classe dove si svolgeranno le letture: seguiremo i pensieri di Enrico Filippini, giornalista e traduttore ticinese che lavorò per il giornale “La Repubblica” a Roma, nel suo “Ultimo Viaggio”, prima di morire, in cui si confida alla figlia Concita che in verità ha conosciuto pochissimo.
“Come temendo a volte, di parlare troppo, di turbare un silenzio, di guastare quelle stupende apparenze, di disturbare un’esperienza. Elena guardava. Elena guarda, con molta attenzione, come assorta, guarda le cose nello stesso modo in cui la cassa di un violino accoglie la vibrazione di una corda. (…) Così eravamo in Svizzera. Non si è presentata in me quella sensazione di amore deluso e di disprezzo, e di claustrofobia, e di desiderio di fuga che la Svizzera in me suscita facilmente. Ero immensamente felice che tutto fosse stato com’era stato (…) ed ero molto felice di mostrare, o di donare, a Elena qualche cosa che per me era stato così impregnante. Di lasciarlo a lei, o di informarla di un mio segreto. Elena guardava; le piaceva – così mi è parso” (1)
Carlo Emilio Gadda, dal suo canto, si rivolge in “La cognizione del dolore”, contro il narcisismo e l’egoismo, incarnato dall’”io”, il più lurido dei pronomi. Il protagonista vive isolato in una villa-prigione con la madre in un rapporto amore-odio fortemente ambiguo. Gadda è alla ricerca di un altrove che cerca di oltrepassare le apparenze.
“Ora, Dio è grande. Come il Thina dei vecchi tusci, anche il Dio di noialtri gli è un tipo di quelli che conoscono puranche bene il proprio mestiere: certi porconi, lui non ha premura: lui li lascia fare, e fa anzi le viste di non essersi accorto di nulla: e gira gli occhi alla larga, così, così perché intanto abbada ad altri, ché delle grane, se si mette a cercarle, ne trova tante che non pulci un cane tra i peli”(2)
Nell’altro vagone di prima classe, s’insedierà Emilio Fantin con il suo “Ateneo dynamico”, un gruppo di lavoro nomade nel quale “si prendono in considerazione temi, analisi e visioni per sfidare paradigmi e certezze consolidate”, come si legge nelle istruzioni.
“Sono molto interessato alle suggestioni e alle indicazioni di persone di culture diverse. In questo periodo di forte crisi, credo sia importante non solo prendere atto del fallimento di alcuni modelli economico-sociali e del lavoro, ma spingersi sul crinale della conoscenza, della scienza e della cultura per potere immaginare ciò che possa riempire il vuoto che sembra opprimerci. È questo il tema della “soglia” cioè di quella posizione che permette di guardare le cose da più punti di vista, evitando di restare impigliati nei legami creati da pregiudizi, dogmi o paradigmi desueti”(3)
Durante il percorso lineare del veicolo che segue i binari, i discorsi interiori e i movimenti dei performer lungo i corridoi all’interno del treno saranno momentaneamente interrotti da eventi brevissimi all’esterno del treno, sulle stazioni, in mezzo a un prato, davanti a una chiesetta.
I corni delle Alpi, gruppi di teatro non professionista, arti marziali, liceali, cori o gruppi folcloristici mostreranno, con l’aiuto di studenti di pedagogia teatrale della ZHdK (l’università delle Arti di Zurigo) degli estratti brevissimi delle loro attività, mentre il treno si ferma o rallenta il suo percorso.
Così si verrà a creare un ulteriore incontro tra due mondi assai lontani, ma affini: l’espressione più contemporanea dell’arte che è la performance, si avvicina, mediante il treno, all’espressione più antica della cultura popolare: il teatro, il canto e il ballo folcloristico dei paesini di campagna.
Forse il lato magico e sorprendente del Performance-Train sta proprio lì: soliloqui, discorsi introspettivi, dubbi esistenziali, insicurezze fondamentali e crisi interiore nel treno in movimento – passano vicino a valori antichi, apparentemente consolidati della tradizione che sembrano perdurare, resistendo ai dubbi universali, agli scetticismi, alle paure e infine alla morte.
Mobilità versus immobilità; volatilità versus ancoraggio; immaterialità versus materia. Nel migliore dei casi, il treno evidenzia, aiuta a percepire e a prendere consapevolezza delle differenze e delle sfumature senza alcuna presunzione interpretativa.
Nelle cornici del TILO si dipingono i paesaggi interiori ed esteriori dei partecipanti. Come in un gigantesco “tableau vivant” a tasselli, le immagini svaniscono ed evadono al loro stesso apparire, lasciando traccia soltanto nei nostri ricordi o sulle nostre memorycard…
Barbara Fässler