Machines à penser – Una capanna per la costruzione del pensiero
La mostra interdisciplinare tra filosofia, architettura e arte contemporanea indaga il rapporto tra pensiero e spazio, riflettendo le condizioni di ritiro e di lavoro di pensatori del ‘900 come Wittgenstein, Adorno e Heidegger. Numerosi artisti si sono ispirati ai luoghi nei quali si sono sviluppati pensieri fondamentali.
Chi non ha sognato di fuggire le circostanze del rumore, della frenesia, della distrazione e degli obblighi quotidiani? Chi non ha percepito il desiderio di scappare in una capanna e godersi il silenzio e il tempo, immergersi nella natura per raggiungere uno stato di concentrazione mentale e raccogliere il flusso dei pensieri per dar loro una forma? Forse ispirati dai primi eremiti cristiani del terzo secolo d. C., come San Gerolamo o Sant’Antonio, alcuni pensatori hanno scelto come luogo di ritiro la capanna. La mostra (titolo ispirato alla “Machine à habiter” di Le Corbusier) alla Fondazione Prada a Venezia si dedica al rapporto tra pensiero e spazio nell’opera e nella vita di tre filosofi che hanno marcato il pensiero del Novecento: Theodor Adorno, Martin Heidegger e Ludwig Wittgenstein. Siccome per Wittgenstein risolvere i problemi della logica e finire il era diventato impossibile a Cambridge, egli andò alla ricerca di un luogo innocuo, di pace e silenzio, e lo trovò nell’intoccato fiordo di Skjolden in Norvegia. Negli stessi anni venti Heidegger decise di costruire la sua capanna del buon ritiro a Todtnauberg nella foresta nera, dove poi scrisse e ricevette innumerevoli intellettuali come Arendt, Husserl, Marcuse o Gadamer. La capanna di Theodor Adorno, invece, esiste soltanto nella mente dell’artista irlandese Ian Hamilton Finlay: una struttura elementare di acciaio e legno. Adorno in esilio forzato nella “Weimar del Pacifico” a Los Angeles in realtà non avrebbe mai rinunciato al suo tenore di vita. Il mito della capanna come luogo di ritiro ha ispirato una serie di artisti contemporanei: chi ha fotografato i luoghi del pensiero (Patrick Lakey, Digne Meller Marcovicz, Robin Gillanders, Guy Moreton), chi ha costruito un diorama della capanna (Mark Riley), chi l’ha ricostruita all’88% (Mark Manders) o chi ne ha disegnato sezione e piano (Adam Sharr). Anselm Kiefer propone il <Hirnhäuslein> per Alexander Kluge, il quale, a sua volta, riflette sui filosofi nel suo video . Suzan Philipsz inonda lo spazio con i suoni di Hanns Eisler, mentre Goshka Macuga trasforma le teste dei filosofi in vasi di fiori. Nel video di Sophie Nys, invece, emerge tutta la problematicità della figura di Heidegger dalla lettura di Thomas Bernard, che stronca il pensatore tedesco in maniera spietata, mentre la camera gira intorno alla sua baita. Mostra contemplativa e intensa che riflette sulle condizioni e il prezzo dell’eccellenza.